Ulisse e il mondo moderno

Piero Boitani
― 11 Novembre 2020

Piero Boitani, Il Sole 24 Ore

Esattamente vent’anni fa, nell’autunno del 2000, iniziavo la collaborazione a questo Domenicale con un articolo su Ulisse. Questa settimana mi è stato chiesto di inaugurare il Congresso Incipit di Genova con un discorso sul medesimo personaggio. Già. Perché il signore di Itaca sta tra di noi da tremila anni, eroe della resilienza e della pazienza (ma quando la perde, sono guai seri). Tra di noi: non solo nella letteratura, nelle arti figurative, nel cinema, ma nella storia: “tra i popoli, tra gli eventi”, scriveva Joyce. E se non fosse stato per lui, per Ulisse, la storia, almeno quella dell’Occidente quale ha avuto luogo dal tardo Medioevo in poi, non ci sarebbe stata, o sarebbe stata come quella della Svizzera, dell’Uzbekistan, del Congo: paesi senza mare, senza navi, senza cibo condito col sale.

Da una insignificante isoletta dello Ionio, un piccolo signore di provincia porta invece il mare alla ribalta della storia, lo percorre e vi si smarrisce per dieci anni. Non lo ama, non gode delle immense tempeste che vi deve affrontare, ma è curioso: gli piace andare a vedere chi c’è nella grotta del Ciclope, nella selva dove si staglia il palazzo della maga Circe, vuole ascoltare il canto delle Sirene. È curioso, ora, nell’Odissea: più tardi, con Dante, lo prenderà un vero e proprio ardore di divenir del mondo esperto, di conoscere il pianeta tutto: e, è chiaro non solo ai poeti ma ai navigatori stessi del Rinascimento, a Vespucci come a Sarmiento de Gamboa, scopre l’America. Senza di lui, non si doppia né la Patagonia – dove infatti lo ritroverà Chatwin – né Capo Horn: ma neppure il Capo di Buona Speranza aldilà dell’Africa verso l’India e la Cina, perché è lui, portoghese e fondatore di Lisbona (Ulixabona), che si spinge a Goa e Macao.

Nella storia e nelle storie: dall’Italia, dalla Spagna, dal Portogallo, passa il testimone agli inglesi, che con l’“Ulisse britannico” di Tennyson conquistano – diceva Wole Soyinka – l’Africa nera, gli Antipodi, il Polo Sud (o almeno ci provano). Per verificare: leggere lo straordinario polacco Joseph Conrad ne Lo specchio del mare, e le vicende di Scott e Shackleton un secolo fa.

Ma c’è un altro modo col quale Ulisse entra nella storia. È homo sapiens al punto che Platone gli fa scegliere una reincarnazione priva di avventure eroiche, da uomo comune. Però è anche faber (sa progettare l’arma finale, il terribile Cavallo di Troia, costruire il proprio letto nuziale e la zattera per attraversare il mare). Ha mente e lingua astute e taglienti, parola dolce e soffice come i fiocchi di neve, arte del racconto come quella di un cantore. Conosce l’inganno, l’imbroglio, la frode: non esita a impiegarli quando gli servono per sopravvivere e per vincere (vedi Polifemo). Attaccatissimo agli affetti familiari, alla sposa per la quale rifiuta l’immortalità, alla madre, al figlio, al padre, non esita a sfruttare le donne, con le quali ha successi invidiabili (si ferma solo dinanzi alla fanciulla Nausicaa).

Cerca la felicità nella sua forma più apparentemente banale: una moglie, una casa, un letto, un ulivo, come lo ritrae Chagall. Invece, gli tocca ripartire per l’“ultimo viaggio”, alla ricerca di una fantomatica terra che non conosce il mare. Ma nel viaggio attraverso il tempo possiede sempre le chiavi speciali della metamorfosi: diventa storico (Polibio è suo allievo), filosofo e astronomo, mistico, platonico e cristiano. Forse che legato all’albero maestro davanti alle Sirene non assomiglia al Cristo inchiodato alla croce? Chi deve illustrarne la resistenza a Circe secondo Boezio lo raffigura mentre le indica il cielo con un dito: vestito e incappucciato come uno dei pellegrini che andavano a Gerusalemme, a Roma, a Compostela. Sui capitelli dell’Abbazia di Vezelay, compariva insieme alla Sirena.

Insomma, dilagava: lo senti risvegliarsi rintontito e cantare con voce profonda, quando i Feaci lo sbarcano a casa nel Ritorno di Monteverdi: “Dormo ancora?”. In etica e in guerra, il modello ideale di Alessandro Magno era Achille; ma dell’astuto, brillante Temistocle no: era Ulisse. I romani, che non se ne fidavano affatto, trovarono il modo di addomesticarlo: Tiberio si scoprì, per via della parte claudia della sua famiglia, pronipote dell’itacese: consacrò la faccenda in una grotta sul mare a Sperlonga e si guadagnò la parte orientale dell’impero, mentre a occidente gli valeva l’adozione giulia di Augusto, che lo faceva discendente di Enea.

Il 16 giugno 1904 l’irlandese James Joyce tentò di imprigionarlo a Dublino, trasformando contemporaneamente la città in cosmo. Era troppo tardi: Ulisse aveva già preso il volo per vie nuove, come capì il finissimo sodale di Joyce, Samuel Beckett. S’era inoltrato in un ginepraio terrificante. Nietzsche lo aveva servito anonimo, su un piatto d’argento, a D’Annunzio: lesto, lo raccoglieva da lì Benito Mussolini – e contemporaneamente il suo oppositore Altiero Spinelli. Fascista e antifascista, vittima e carnefice. Eccolo ad Auschwitz con Benjamin Fondane e Primo Levi, nel punto più tragico e vergognoso della civiltà europea, quando nel suo destino si raggruma e si rivela il “qualcosa di gigantesco”, che Levi vede ora “soltanto, nell’intuizione di un attimo, forse il perché” incalcolabile dei campi di sterminio. Insomma, Ulisse è davvero, adesso, Nessuno: il Niemand del Salmo di Paul Celan, l’Outis di Luciano Berio. Poco dopo, segna la tragedia dell’Europa divisa dai conflitti: tenta, con Kundera, di tornare a Praga dopo il trauma dell’invasione sovietica del 1968; percorre i Balcani insanguinati dalle guerre iugoslave alla ricerca di un’antica pellicola, nel Regard d’Ulysse di Anghelopoulos.

Mentre nel 2001 sembra pronto a imbarcarsi verso il futuro glorioso dell’ultima trasformazione in superuomo con l’Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, cade in un’oscillazione paurosa nel resto del mondo. Se lo contendono il sincretismo di poeti come Adonis, Derek Walcott e Haroldo de Campos, il silenzio definitivo delle Sirene alla maniera di Kafka e Pascoli, e la guerra finale tra civiltà. A New York, lungo la riva del Battery Park, si trova una statua di Ulisse regalata alla città dall’Italia. L’ha scolpita in bronzo Ugo Attardi e ha dimensioni di poco superiori a quelle di un essere umano reale. Ulisse appare impegnato in folle volo, forse in una danza di guerra. Si appoggia a un’asta e ne punta una contro il mondo circostante. Il volto è coperto da un grande elmo, e non è possibile capire se il viso che nasconde sia quello di un Conquistadóro di un indigeno che combatte contro l’invasore, o infine di un mediorientale all’assalto dell’America. La statua si trovava subito dietro le Torri Gemelle del World Trade Center, che furono distrutte da due aerei l’11 settembre del 2001. Ulisse è ancora lì.


Piero Boitani è stato professore di letterature comparate all’Università “La Sapienza” di Roma e all’Università della Svizzera italiana (USI). Ha insegnato anche a Cambridge, Berkeley, Harvard, Toronto, dove è stato Northrop Frye Professor of Comparative Literature, e alla University of Notre Dame (Indiana). Anglista, biblista, studioso del mito e delle sue riscritture, ha vinto il premio Balzan nel 2016. È direttore letterario della Fondazione Valla.


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