Il dramma dell’eros senile: vuoi ma non puoi


― 26 Novembre 2020

Silvia Stucchi, Libero Quotidiano

Negli scorsi giorni (Libero 6/11/2020) Vittorio Feltri trattava il tema, spesso censurato, dell’amore senile. In proposito consigliamo la lettura di Massimiano, poeta tardo-antico, vissuto fra V e VI secolo, di una generazione più giovane di Boezio, e autore di sei Elegie, edite e tradotte da Emanuele Riccardo D’Amanti (Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori, 414 pp., euro 49)

Le Elegie sviluppano con accenti tragici il tema dell’amore senile: nella prima, di cospicua ampiezza, l’anziano poeta supplica la vecchiaia di non ritardare la morte. Il componimento è giocato sul contrasto fra passato e presente, fra la gioventù (quando Massimiano, bello e vigoroso, eccelleva nella poesia, nell’ atletica, nell’ oratoria e nella poesia, ma era disinteressato all’eros), e la vecchiaia: in questa età il poeta rovescia completamente la prospettiva di Cicerone, che nel Cato Maior esaltava la vecchiaia quale età positiva, attiva, non priva di piaceri, degna di onore e rispetto.

Non così in Massimiano, che descrive la menomazione progressiva dei sensi nel senex, e, ancor peggio, quella della mente: il vecchio è un malato terminale, costretto a vivere in un ambiente oscuro simile all’ Oltretomba, un morto ancora in vita, insomma. Il modello per tale analogia è Ovidio, relegato da Augusto a Tomi, sul Mar Nero, che, nelle opere scritte da quella remota località lamentava il suo infelice isolamento, ricorrendo alla metafora del morto per chiarire che quella che era costretto a vivere era una non-vita. 

Insieme, il personaggio del senex risente della caratterizzazione di celebri figure tragiche, prima di tutte l’Edipo protagonista dell’Edipo a Colono, con cui condivide la constatazione sofferta del radicale cambiamento di status, il desiderio di morte e il lamento contro un potere tirannico che tiene in vita gli infelici.

La seconda elegia, più breve, ne prosegue i temi della prima, narrando il rifiuto da parte di Licoride, donna con cui il poeta ha avuto una lunga relazione, ma che ora gli preferisce amanti più giovani e che dileggia l’anziano innamorato. Se nella tradizione letteraria precedente troviamo ritratti grotteschi di vecchie, con una dettagliata analisi dei danni loro arrecati dal tempo (pensiamo alla Canidia di Orazio o a certe vecchie mogli della commedia plautina), qui il poeta rovescia il tópos e presenta la decadenza e il dileggio che toccano all’ uomo anziano.

 La terza elegia rievoca un episodio dal triste epilogo, cioè il primo amore di Massimiano per Aquilina, sentimento contrastato perché i giovani sono di classi sociali diverse. Scoperta la relazione della figlia, la madre la picchia; interviene allora Boezio, che ammansisce con doni i genitori di Aquilina. Ma quando tutti gli ostacoli sono rimossi, Massimiano perde ogni ardore e congeda la ragazza ancora inviolata. Un episodio di amore in età matura è narrato nella quarta elegia: Massimiano si infatua di Candida, una donna di spettacolo, e, in preda alla passione, crede di vederla, sentirla, persino di toccarla.

 Ma la tragedia arriva con la quinta elegia, che rievoca un fallimento erotico in età senile: Massimiano è sedotto da una Graia puella, una splendida cortigiana. In un primo incontro la ragazza si mostra però infastidita dall’ abbraccio del vecchio, che si raggela ed è vittima di impotenza. Un secondo rendez-vous ha esito positivo, ma nel terzo si verifica ancora una défaillance: allora la giovane, inutilmente prodigatasi per rianimare le stanche forze del partner, intona un elogio funebre alla mentula, spiegando che il suo è il pianto per una catastrofe universale, visto che la mentula crea ogni vita, garantisce coesione alla coppia e nessuno, né potenti né saggi, può resistere all’eros.

 Chiude il corpus una brevissima elegia che richiama la prima, con cui condivide il leitmotiv del vecchio come morto vivente e il tono funebre. Le elegie massimianee sono il bilancio dell’importanza dell’eros nella vita del poeta, contrassegnata in gioventù da inibizioni e pudore, in vecchiaia da rifiuti e impotenza. Questi testi, a torto attribuiti nel XVI secolo a Cornelio Gallo, attestano la fusione fra matrice letteraria pagana e cristiana: ciò rispecchia la formazione d’ un aristocratico educato fra V e VI secolo, epoca affascinante, di fine di un mondo e apertura verso nuovi orizzonti politici, culturali, letterari.


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