Tradurre Sul Sublime. Note al margine di un’avventura intellettuale

Laura Lulli
― 17 Settembre 2021

L’idea di proporre una nuova traduzione del trattato Peri hypsos, Sul Sublime, implica confrontarsi con una serie di domande che hanno tormentato tutti coloro che si sono avvicinati a questo testo e che non necessariamente sono destinate a ricevere una risposta univoca e definitiva: chi era l’autore del trattato? A quale ambiente era destinato? Quali sono stati gli elementi che hanno reso un testo dedicato allo hypsos, al sublime, capace di influenzare tanta parte della critica letteraria, della riflessione filosofica, della produzione letteraria e artistica europea dall’antichità fino ad oggi?

Tra le pieghe di 44 capitoli di lunghezza diseguale, l’autore non sente il bisogno di dichiarare la propria identità, come gli richiederebbe il lettore moderno, abituato ad un’autorialità esplicitata e spesso resa il perno dell’intera struttura di un’opera, e, rivolgendosi con costanza al giovane Terenziano, destinatario del trattato, lo guida sapientemente nell’analisi dei testi della tradizione letteraria greca, non senza celebri ‘deviazioni’ verso il patrimonio letterario latino ed ebraico. I passi citati ed esaminati con i più vari criteri, dall’allusione fumosa o fortemente evocativa, alla fedele menzione parola per parola, per arrivare a vere e proprie rielaborazioni e riscritture, si rivelano un intarsio complesso e affascinante che spesso ha poco o nulla a che fare con i testi di provenienza, ma costituisce una fonte inesauribile sia per guardare con occhio critico alla tradizione letteraria sia per acquisire gli strumenti necessari all’eloquenza e all’arte retorica da impiegare, dopo un solido percorso educativo, nella concretezza della vita politica cittadina. In controluce e in alcuni casi sotto i riflettori accesi a piena potenza la voce affilata dell’autore intreccia sui temi che affronta polemiche più o meno esplicite ed evidenti verso critici e intellettuali dalle opinioni contrarie alle sue o verso tendenze interpretative più confacenti al proprio punto di vista, ma rispetto alle quali non disdegna di precisare qualche dettaglio e, più in generale, di imprimere un segno nella mente del destinatario delle riflessioni così proposte. Questa intelaiatura dell’opera è funzionale a sviscerare i caratteri del sublime, a dimostrarne l’efficacia in termini di effetto provocato da determinate scelte stilistico-retoriche e tematiche sull’ascoltatore e sul lettore, a far comprendere e, in ultima analisi, ad insegnare quali possono essere le strategie migliori per confrontarsi con i paradigmi tradizionali del sublime ed emularli nella produzione di nuovi testi e discorsi ‘alti, ‘ispirati’, ‘veramente sublimi’.

Questo intreccio articolato di piani tematici diversi e variegati si presenta sotto una veste linguistica e stilistica altrettanto particolare. La prosa adottata, infatti, non rispecchia fedelmente i modelli più noti della critica letteraria antica, e la perdita di gran parte dei testi appartenenti a questo genere e riferibili al periodo a cavallo tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C. rischia di lasciare il lettore stupito o disorientato davanti a scelte linguistiche da annoverare nella koiné, il greco comune allora in voga, ma non sempre documentate appieno per essere ben individuate e comprese. Questo tipo di coloritura linguistica è accompagnato da una straordinaria capacità dell’autore di giocare sul piano del lessico, con la costruzione di termini composti dalla particolare forza icastica ed evocativa e con l’introduzione di espressioni mai attestate altrove nel patrimonio letterario greco (i cosiddetti hapax legomena), il cui significato va ricompreso all’interno del tessuto critico e retorico proposto nel trattato. Un ulteriore elemento peculiare della prosa imbastita dall’autore è la sintassi, destinata a una continua oscillazione tra successioni spericolate di subordinate, spesso con il chiaro intento di imitare gli autori discussi o illustrare le figure retoriche presentate, e improvvise chiuse del discorso in sintagmi repentini e in frasi dall’andamento piano e dal tono consolatorio per le orecchie di un ascoltatore o per gli occhi di un lettore messi fin lì a dura prova.

Le chiavi di interpretazione di un testo così composito nei temi e nelle forme hanno costituito una linea a sé stante di ricerca e di studio nella cultura occidentale e hanno dato luogo non solo ad una ricchissima varietà di traduzioni, ma anche a una serie infinita di rivoli di riflessione. Una nuova traduzione del Peri hypsos, quindi, non può non tener conto di tutto questo. Fin dai primi approcci al testo, però, ho dovuto tenere questo bagaglio di conoscenze non davanti ai miei occhi, ma al mio fianco, come costante appoggio in ogni momento – e ce ne sono stati molti – di necessità di un confronto, un chiarimento o anche solo un nuovo interrogativo improvviso. A dominare doveva essere il testo, letto e riletto, lasciato in sospeso, sezionato per un’indagine dei tecnicismi e dei continui rimandi alle diverse tradizioni letterarie di volta in volta chiamate in causa. Il viaggio nel testo conduce attraverso una serie infinita di scorci mozzafiato: le molte risonanze, spesso solo apparenti, i richiami e gli echi ‘sublimi’ di una letteratura che ha incantato l’intero Occidente e oltre, l’Omero dell’Odissea al tramonto di una vecchiaia di saggezza e quello dell’Iliade sanguinaria, il silenzio degli eroi capace di risuonare più e meglio di ogni grido di battaglia, il confronto sprezzante e ironico tra autori ‘alti’ e autori capaci di fare il proprio lavoro e nulla più, l’ispirazione subitanea di uno spettatore colto dalle parole della letteratura in un’esperienza di trasporto che lo conduce a credere di aver creato con la propria mente ciò che invece ha appena ascoltato.

Poi d’improvviso, quasi inciampando nelle pieghe della prosa, il lettore incontra i moniti al giovane Terenziano, gli esempi concreti di individuazione di un testo o di un discorso “sublimi”, le tecniche retoriche per riprodurre o provare ad arrivare al sublime, una miriade di riferimenti al dibattito critico contemporaneo, a svariate opere di approfondimento oggi del tutto perdute. Il rischio che si corre è – almeno – duplice: rimanere estasiati davanti ai quadri ‘sublimi’ e provare ad appiattire nella resa del testo in traduzione l’intero trattato come su una linea ad alta tensione continuamente attiva, una scintilla sempre accesa; in alternativa, sentire un senso di disgusto per gli improvvisi cambi di rotta, dalle scie che puntano dritto alle altitudini più sublimi, alle piste che conducono alla dimensione più pratica e concreta possibile del vivere di letteratura e di arte retorica e decidere, quindi, di tacciare l’autore di una scarsa abilità stilistica, quasi di una mediocrità schizofrenica, scegliendo una resa piana che quasi tralasci o mitighi le asperità del testo.

Tra queste e molte altre alternative possibili ho scelto di provare a tenere insieme i diversi piani tematici e stilistici del trattato, valorizzandone sì le componenti ‘sublimi’, ma, al tempo stesso mettendo in rilievo le pause, le riflessioni improvvise, i continui richiami al lavoro critico di un autore in dialogo con una fitta rete di intellettuali a lui contemporanei e sempre attento all’esigenza di insegnare a Terenziano, o ai suoi altri ignoti lettori e ascoltatori, ogni segreto dell’arte retorica. Il risultato della traduzione è inevitabilmente un altro testo che, in questo caso, non solo traspone un sistema articolato e raffinato di richiami culturali e letterari del testo di partenza, ma prova a renderne i salti stilistici, i molti sottintesi, persino le battute implicite di un erudito alle prese con il proprio giovane interlocutore da educare. Mi sono chiesta più volte se questa prosa fosse sublime, come sublime sembrerebbe – almeno dal titolo – essere il suo contenuto, e la domanda ha tormentato ogni traduttore del trattato dal XVII secolo ad oggi. Ognuno ha trovato e troverà, forse, la propria risposta. Il tentativo di questa traduzione è stato quello di provare a restituire anche solo un’ ‘eco’ delle possibilità espressive sfaccettate di una delle prime forme di critica letteraria antica, conducendo il lettore nel vortice di immagini ‘sublimi’ e nel laboratorio erudito dell’autore che ha contribuito – forse suo malgrado – a delineare embrionali paradigmi di canoni e anti-canoni.


Laura Lulli è ricercatrice in lingua e letteratura greca all’Università dell’Aquila. Si è occupata di elegia greca arcaica e classica, di epica, di elegia e di papirologia. Per la Fondazione Valla ha tradotto il Sublime.


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