Presocratici: i maestri di verità riletti con Burkert


― 12 Febbraio 2024

Giuseppe Cambiano, Il Manifesto

Presocratici Talete, Anassimandro, Pitagora, Senofane, Eraclito: fu Aristotele a «farli» filosofi. Erano maghi, medici, portatori di un sapere utile, molto diversi tra loro. Come mostra quest’edizione «Valla», a cura di Laura Gemelli-Marciano

Agli inizi del Seicento Francesco Bacone paragonò Aristotele a un despota ottomano, che elimina tutti i suoi familiari come possibili rivali, e sottolineò l’utilità di raccogliere i pochi resti di questi suoi rivali, dal momento che il loro sguardo sulla natura era stato ben più penetrante di quelli di Platone e Aristotele. Questo compito fu portato a compimento agli inizi del Novecento dalla raccolta dei frammenti di quelli denominati poi abitualmente presocratici a opera di Hermann Diels.

Questi raccoglieva con numerazione distinta, da una parte, le testimonianze di autori antichi su questi personaggi e, dall’altra, frammenti ritenuti appartenere ai loro scritti. Data la non infrequente labilità della distinzione tra frammenti autentici e parafrasi, questa distinzione è ora opportunamente abbandonata dalla nuova edizione – con testo greco, traduzione, note e ampia introduzione – dei Presocratici Volume I: Sentieri di sapienza attraverso la Ionia e oltre da Talete a Eraclito, a cura di M. Laura Gemelli-Marciano per la Fondazione Valla (Mondadori, pp. CXIV-614, euro 50,00), alla quale seguiranno altri due volumi.

Qui viene preferita una presentazione tematica continua, usando il corsivo per possibili testi autentici e aggiungendo alcune nuove testimonianze da papiri o provenienti soprattutto da autori tardo-antichi. Di fatto l’ombra di Aristotele ha continuato a proiettarsi sugli studi moderni dei presocratici, in quanto egli li discuteva e criticava alla luce dei propri problemi, facendone quindi dei filosofi nel senso da lui dato a questa parola.

Ma proprio questo assunto è messo giustamente in discussione dall’autrice: erano filosofi in questo senso i presocratici? In realtà, come essa mostra, si tratta di figure tutt’altro che omogenee. Alcuni, come Talete o Anassimandro, sono in primo luogo portatori di un sapere utile di carattere tecnico o politico; altri, come Pitagora o Senofane, ma anche Esiodo ed Ecateo di Mileto, sono criticati da Eraclito come polymatheis, individui che anche attraverso i loro viaggi traggono il loro presunto molteplice sapere da altri; altri ancora appaiono come uomini divini, taumaturghi e purificatori, protagonisti, alla maniera di sciamani siberiani, di viaggi estatici nel mondo dell’invisibile o nell’aldilà per riportarne conoscenze e messaggi.

Così è per lo stesso Pitagora, ma anche per Parmenide ed Empedocle, che per questi aspetti presentano una parentela con personaggi come Aristea, Ermotimo, Epimenide, Abaris, non inclusi però in raccolte di presocratici.

Nelle testimonianze più antiche, del Pitagora matematico resta ben poco se non forse la simbologia dei numeri, avverte l’autrice. E l’attribuzione a Pitagora, dovuta a Eraclide Pontico, dell’invenzione del termine filosofia nel senso di contemplazione disinteressata è condizionata da tematiche platoniche. Inoltre la scuola da lui fondata era caratterizzata, più che da un insegnamento puramente intellettuale, da pratiche vòlte in primo luogo alla purificazione e liberazione dell’anima, dagli esercizi di memoria all’osservazione del silenzio.

Lo stesso Empedocle si qualifica come indovino, guaritore e purificatore e Parmenide si presenta come protagonista di un viaggio verso la verità comunicatagli dalla dea dell’aldilà Persefone, per cui non c’è contraddizione tra conoscenza dell’universo e l’esperienza mistica che la produce. È solo in seguito ad Atene con il meteco Anassagora, il meteorologo per eccellenza, che viene formandosi il canone di coloro che parlano della physis, ma per l’ateniese medio non c’era chiara delimitazione di ambiti tra maghi, filosofi della natura e medici.

Questi risultati sono raggiunti dall’autrice grazie anche all’attenzione per la coppia geografia-storia, così proficuamente usata per la letteratura italiana da Carlo Dionisotti. Dire mondo ionico vuol dire contatti stretti con l’Oriente: proseguendo sulla linea del suo maestro Walter Burkert, Laura Gemelli-Marciano fornisce preziosi paralleli fra temi presocratici e testi delle culture del vicino Oriente, come sulla concezione non antropomorfica della divinità, quale troviamo in Senofane, o sulla concezione del fuoco giudice. Incideva in particolare il consolidamento del potere dei re persiani e la propaganda mirante a presentare il re come ordinatore politico e religioso e portatore di verità opposta alla menzogna.

Di qui la rilevanza dell’opposizione verità-menzogna anche per un Eraclito. Per altro verso la conquista persiana della Ionia esercitava un notevole impatto anche nell’indurre alcuni, come Senofane o Pitagora, a muoversi verso le colonie greche di Occidente, verso una diversa humus culturale. Viene così sancita la fine del mito, ampiamente diffuso e costruito con particolare rilevanza da figure come Hegel o Renan, di un miracolo greco nel suo splendido isolamento.

Nessuno di questi personaggi è costruttore di sistemi filosofici compatti e assolutamente coerenti grazie a rigorose catene deduttive, anche se naturalmente ricorrevano talvolta anche a forme argomentative come dimostrazione per assurdo, esperimenti mentali o analogie. Tutti, pur nella loro diversità, tendevano a presentarsi come maestri di verità, per usare l’espressione di Marcel Detienne, con asserzioni perentorie.

Ma si rivolgevano a destinatari diversi, impiegando quindi modalità comunicative differenti, con scritti esoterici diretti a pochi e con gradi maggiori di ambiguità, allusività, oscurità e stile oracolare, come nei casi di Eraclito, ma anche di Parmenide o Empedocle, o mediante versi recitati a un pubblico come nel caso di Senofane, poeta simposiaco vicino alla prassi dei rapsodi che recitavano i poemi omerici, o attraverso conferenze colte a forte coloritura retorica o un vero e proprio libro messo in vendita, come nel caso di Anassagora.

Ma non si deve attribuire ad essi la coscienza di far parte di un gruppo con interessi comuni, in continuo confronto tra loro, proiettando quindi su essi le modalità della circolazione delle idee proprie del nostro mondo permeato dalla scrittura e presupponendo che ciascuno di essi conoscesse sempre le dottrine di tutti gli altri. Né si deve attribuire automaticamente alla scrittura la prerogativa di aprire sempre spazi maggiori alla riflessione e alla critica, perché essa poteva anche essere strumento di conservatorismo, come nelle società del vicino Oriente o in tradizioni familiari nella Grecia stessa.

E la stessa cosa vale per la distinzione tra poesia e prosa, dato che in prosa sono sia scritti tecnici, sia testi sapienziali orientali e greci, e in versi scrivevano Parmenide o Empedocle. Di fatto proprio i testi presocratici sono la smentita del luogo comune che concepisce la filosofia come transizione dal mito al logos, per cui si accorciano le distanze che si è preteso di vedere tra essi e la tradizione della poesia epica: già in Omero ed Esiodo sono presenti modelli cosmologici e la critica all’antropomorfismo degli dèi dell’epica, condotta da Senofane, era reperibile anche in Pindaro, così come il tema dei limiti della conoscenza umana, che porterà in seguito a inserire Senofane nella tradizione scettica, era già presente nell’epica e nella lirica arcaica.

Questa nuova edizione fa quindi piazza pulita di una molteplicità di stereotipi che hanno circondato i Presocratici, vedendo in essi l’origine della razionalità scientifica, come nel caso di Popper che rintracciava in essi il costituirsi della tradizione critica che procede per congetture e confutazioni. Ma anche fine del mito di un’origine sovrabbondante contenente qualcosa di positivo poi progressivamente smarrito, come in Heidegger al quale i presocratici appaiono portatori di un pensiero contenente ancora molto da pensare, ma obliato nell’epoca della metafisica culminante nel dominio incontrastato della tecnica.

Né cederei alla tentazione, alla quale indulge a volte anche l’autrice, di vedere in essi una forma di vita fondata su un’esperienza mistica della totalità, che coinvolge tutto l’individuo, come in Eraclito, quasi antidoto ai guasti della globalizzazione attuale. Ma resta il fatto che questa nuova edizione – frutto dell’ampliamento e della revisione di quella uscita in Germania per la Tusculum (De Gruyter) – conferma in modo eccellente che la filosofia non è un genere naturale, neppure in Occidente, ma un oggetto mutevole e fluttuante con altri oggetti fluttuanti nello spazio e nel tempo, come risulta in maniera particolarmente evidente in momenti aurorali come questi dei presocratici.

© 2024 il manifesto


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