Così Euripide assolse Elena, la seduttrice più innocente


― 15 Luglio 2021

Giuseppe Conte, Il Giornale

Elena figlia di Leda e del Cigno nelle cui forme si nascondeva Zeus, fu la donna più bella al mondo, suscitatrice dei più infuocati desideri: per lei, dopo che Paride la portò via al marito Menelao, scoppiò la guerra di Troia e trovarono la morte tanti eroi.

Pari a lei, per fama e per incidenza sull’immaginario dei posteri, c’è soltanto Ulisse. Che quando a Sparta furono convocati tutti i principi pretendenti alla mano di Elena, era tra loro. Ma ancora una volta fu il più scaltro, e si ritirò senza portare alcun dono appena seppe che a chiederla in sposa per il fratello sarebbe stato il più potente e ricco degli Achei, Agamennone. La bellezza, di cui Elena è emblema supremo, si accoppia con la potenza. Ma sacrifica a Eros. Elena non è statica nella gloria delle sue forme perfette, è in continuo divenire, contraddittoria, dolcissima e feroce. È vittima ma è anche carnefice, è colpevole ma anche innocente, è splendore ma anche rovina.

Nella sua ottima introduzione alla Elena di Euripide (Mondadori, pagg. 383, euro 50) Barbara Castiglioni, che ne è anche traduttrice, mostra in quante opere Elena di Troia sia stata protagonista e su quanti autori abbia esercitato in diversi modi il suo fascino. In un raggio che copre tutta la letteratura e la civiltà occidentale.

Elena è intanto un personaggio omerico, e nelle vicende dell’Iliade mostra, lei traditrice e ormai principessa troiana, tratti di sconcertante ambiguità filogreca. E se in Omero resta una colpevole, ci pensa Gorgia il sofista, fedele ai suoi metodi, a tesserne un Encomio e a mostrarne con un esercizio di alta retorica la sostanziale innocenza.

Personalmente, sono affascinato da una celebre poesia lirica di Saffo dove Elena ricorre in quanto esempio: c’è chi sostiene che la cosa più bella al mondo sia una torma di cavalieri, chi di fanti, chi una flotta di navi. Saffo invece sostiene che la cosa più bella al mondo è «ciò che si ama». Capovolge l’ordine dei valori: in cima non ci sono guerra e potere. C’è l’amore. E per mostrare la potenza di Eros, ecco che «la donna più bella del mondo, / Elena, abbandonò/ il marito (era un prode) e fuggì /verso Troia, per mare./ E non ebbe un pensiero per sua figlia,/ per i cari parenti: la travolse/ Cipride nella brama».

Elena è qui il modello di ogni trasgressione amorosa, di ogni passione terribile, inevitabile: gioia e disastro nello stesso tempo. Troveremo Elena negli autori latini, con la versione mondana che ne dà Ovidio nelle Heroides, negli autori medievali devoti all’amore cortese, come Benoit de Sainte Maure col suo Roman de Troie, in Dante, nei drammaturghi elisabettiani, in Goethe, dove diventa , nell’immenso affresco simbolico del Faust, «l’incarnazione vera e propria dell’eterno Elemento femminile». E, più vicino a noi, c’è la Elena di William Butler Yeats reincarnata nella rivoluzionaria irlandese Maud Gonne, di cui il poeta fu sempre e vanamente innamorato.

In Maia, il suo vero capolavoro, D’Annunzio preferì dipingerci una Elena mendicante, superstite nella vecchiezza e nella vergogna: i secoli le hanno incanutito i capelli, sfatto la bocca vorace, smunto il seno infecondo, curvato il dorso di belva, e le hanno lasciato un solo occhio socchiuso e senza ciglia. È una epifania potente e misteriosa. «Aedo hai dato la dramma/ a Elena, figlia del Cigno/ che fatta è serva millenne/ d’una meretrice di Pirgo».

Più tardi, anche a Ghiannis Ritsos, superbo poeta erotico neogreco, Elena apparve in un simile degrado e sfacelo. Scrive Barbara Castiglioni che «tra tutti gli oltraggi mitologici compiuti da Euripide, il più clamoroso è senza dubbio il rovesciamento del mito di Elena». Ed è vero. Euripide fa sua la versione di una Elena del tutto innocente e vittima. E sposta l’azione lontano sia da Sparta sia da Troia, nell’Egitto che per i Greci ha la voce straordinaria di Erodoto. Che cosa è accaduto perché il mito potesse così capovolgersi?

Per capirlo, bisogna introdurre il tema del doppio e del fantasma. Già ricorre nelle vicende di Era e di Zeus. Quando Issione, figlio del re dei Lapiti, invitato al banchetto degli Dei osò mettere gli occhi su Era e tentare di sedurla, Zeus, prima di punirlo, lo beffò , costruì con la sostanza eterea delle nubi un doppio della moglie, gli diede le sue fattezze del volto e le sue forme, e Issione ingannato possedette quello. Da quel coito, nacque la stirpe dei Centauri.

Per sottrarre Elena al tradimento e alla vergogna, gli dèi ne mandarono a Sparta un fantasma: costruito anch’esso di aria e di nuvole, ma talmente somigliante da indurre Paride a crederla la vera Elena: così fece innamorare e portò con sé a Troia un’ombra. E la Elena in carne ed ossa, con tutta la sua irresistibile bellezza, fu portata in Egitto presso la corte del più casto dei Re, Proteo, l’unico che poteva vedersela vicino senza cominciare a smaniare di desiderio. Quando il dramma di Euripide inizia, il re è morto ed è succeduto a lui Teoclimeno, che invece comincia a desiderare follemente e a insidiare Elena. E Menelao, reduce da Troia, arriverà naufrago proprio su quelle sponde. La tragedia prende toni più da commedia, che il lieto fine potenzia: e si legge bene in questa nuova freschissima traduzione tra dialoghi serrati e alati spunti lirici.

Elena ne esce completamente redenta: donna eccellente, virtuosa, dal nobile animo. Perché, come sentenzia il coro: «Molte sono le forme del divino, / e incomprensibili le decisioni degli Dei».


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