Il Properzio di Fedeli per la Valla

Emanuele Riccardo D'Amanti
― 22 Maggio 2023

Giunge come opus valde desideratum l’edizione, in due volumi, delle Elegie di Properzio curata da Paolo Fedeli per la prestigiosa collana di Scrittori greci e latini della Fondazione Lorenzo Valla / Mondadori. Properzio è tra gli autori latini più studiati e discussi, a cui a partire dall’Umanesimo non sono mai mancate le cure dei filologi, e in particolare più di recente quelle di Fedeli, che al poeta umbro ha dedicato gran parte della propria attività di studioso, consegnando alla comunità scientifica saggi illuminanti e fondamentali, un’edizione critica delle Elegie (Sexti Properti Elegiarum libri IV, Stutgardiae 1984; ed. corr. Stutgardiae et Lipsiae 1994) e ricchissimi commenti ai quattro libri properziani, che costituiscono un punto di riferimento ineludibile per gli studiosi di Properzio e della poesia latina. I due volumi sono concepiti come un corpo unitario. L’introduzione del I è costituita dal saggio Da Assisi a Roma. Un itinerario poetico (pp. IX-XLII), dalla Nota al testo (pp. XLIII-XLVII) e dalle Abbreviazioni bibliografiche (pp. XLIX-LXXIX); ai Sigla (p. 3) seguono Testo e traduzione (pp. 4-193) e Commento (pp. 195-416). Nel II si ripropongono le Abbreviazioni bibliografiche (pp. IX-XLI) e i Sigla (p. 3), seguiti nuovamente da Testo e traduzione (pp. 4-167) e Commento (pp. 169-410); completano il volume l’Indice dei nomi (pp. 413-424) e l’Indice delle cose notevoli (pp. 425-441) relativi a entrambi i volumi. Nel saggio introduttivo si presentano e si discutono le questioni concernenti la vita dell’autore, la divisione in libri e il loro contenuto e si chiarisce il rapporto del poeta con i diversi personaggi menzionati nei componimenti. Quanto alla cronologia dell’opera, Fedeli considera convincente l’ipotesi di datare il I libro nel 29-28 a.C.; nota che gli indizi cronologici ricavabili dal II libro vanno dal 28 al 26/5 a.C.; fissa per l’attuale III libro il terminus post quem nel 23 a.C., anno della morte di M. Claudio Marcello, per il quale Properzio scrive un epicedio (elegia 18), mentre pone come terminus ante quem del IV libro il 20 a.C., anno della soluzione diplomatica della questione partica a cui allude vincendus Araxes di IV 3, 35; una “pur provvisoria cronologia del IV libro” (I, p. XXXV) si basa su pochissimi elementi che oscillano tra il 20 e il 16 a.C. Fedeli (I, pp. XXV-XXVIII) condivide la tesi di K. Lachmann (Sex. Aurelii Propertii Carmina, Lipsiae 1816, pp. XXI-XXII), secondo cui l’attuale II libro consterebbe degli originari libri II e III delle elegie: in II 13, 25-26 Properzio, inserendo le disposizioni per le sue misere esequie, richiede a Cinzia un corteo funebre composto dai suoi tre libri di poesia, che egli porterà in dono a Persefone; se ne deduce che la II 13 e le elegie successive appartenevano all’originario libro III.

Diversamente da Lachmann e da Richmond, per i quali il III libro si apriva rispettivamente con la II 10 e la II 13, Fedeli osserva che i tre distici di cui si compone quel che resta della II 11, rappresentando “un carme d’addio a Cinzia di straordinaria intensità” (I, p. XXVII), dovevano essere i versi finali dell’originario libro II e che invece II 12 fosse il carme di apertura dell’originario III libro. A conferma della divisione in due libri proposta da Lachmann Fedeli nota la mancanza di omogeneità tra i 1362 versi dell’attuale II libro, peraltro devastato da numerose lacune, e i 706 del I, i 990 del III e i 952 del IV. La sproporzione tra i 386 versi delle elegie 1-11 e i 976 versi delle elegie 12-34 induce Fedeli a pensare che “il libro II abbia subito una perdita di versi talmente rilevante da non consentirgli di raggiungere neanche lo sviluppo del I” (I, p. XXVIII) e a ipotizzare che prima della rinascita carolingia “un dotto lettore, consapevole di essersi imbattuto in un testo ampiamente lacunoso per la perdita di una serie di fogli, abbia cercato di dare un senso coerente all’insieme riorganizzando il materiale a sua disposizione”.

La Nota al testo è dedicata alla descrizione e alla storia dei codici su cui si fonda il testo della presente edizione critica. Per la tradizione di Properzio non si risale al di là del Medioevo. Il “più antico e autorevole tra i 148 manoscritti” è N (Guelferbytanus Gudianus 224), vergato nell’ultimo quarto del XII sec. nel nord della Francia, forse copia di un esemplare in minuscola carolina nel quale si individua l’archetipo della tradizione manoscritta di Properzio; per essere appartenuto al convento napoletano di S. Giovanni a Carbonara è tradizionalmente noto come codex Neapolitanus. Al XIII sec. appartiene A (Leidensis Vossianus Latinus O. 38), che tramanda il testo fino a II 1, 63. Nel 1333 Petrarca nella biblioteca della Sorbona da A ricavò una copia (π), ormai perduta, da cui deriva per via diretta F (Laurentianus plut. 36.49), di cui si distinguono varie mani. Rispetto all’edizione del 1994 Fedeli sceglie di servirsi di π e di escludere invece ben cinque codici (D, V, Vo, μ, υ). Da π attraverso un comune manoscritto, anch’esso perduto, discendono due codici del XV sec., L (Oxoniensis Bodleianus Holkhamicus misc. 36), che tramanda il testo da II 21, 3, e P (Parisinus Bibl. Nat. Lat. 7989), comunemente detto Traguriensis, perché trovato nel XVII sec. in una biblioteca dell’isola dalmata di Traù, e celebre perché contiene, tra l’altro, l’unica redazione della petroniana Cena Trimalchionis. Fedeli tiene conto anche di due florilegi medievali del XIII sec., indicati con Flor. I (Vaticanus Reg. Lat. 2120) e Flor. II (Bernensis 276). Oltre che di questi codici, lo studioso si avvale delle migliori lezioni dei recentiores (ς) e delle congetture di studiosi antichi e moderni. La tradizione quindi si conferma di tipo chiuso e bipartito, nonostante in tempi recenti si sia tentato “di rintracciare rappresentanti di una terza famiglia indipendentemente da N e da π” (I, p. XLVI).

Il testo delle Elegie (4.010 versi) nei manoscritti è inficiato da numerosi guasti, talora anche gravi, e presenta spinosi problemi critico-testuali, segnalati in apparato e spiegati con estrema chiarezza nel Commento.

Nell’edizione Valla si contano sette integrazioni. Rispetto a quella del 1994, dove veniva espunto solo IV 9, 42, trapela ora un meno rigido atteggiamento conservatore da parte di Fedeli, il quale atetizza altri dieci distici, che, come si chiarisce nel Commento, risultano privi di coerenza con il contesto. Pochi sono i casi di inversione dei distici e dei pentametri. Alle tre lacune segnate nell’edizione teubneriana all’interno delle singole elegie (II 1, 38; II 22a, 10; III 22, 36) nel testo Valla se ne aggiungono poche altre (dopo I 1, 12; I 11, 3; II 29b, 28; II 30a, 10; II 31, 4; II 31, 16; III 18, 8; IV 1, 82).

Il II libro presenta diversi casi di recupero di frammenti di elegie trascritti a margine e poi penetrati nel testo. Ad esempio II 26 nei codici e nell’edizione del 1994 è un unico carme; ora però Fedeli, considerandolo costituito da parti di tre elegie distinte e osservando che con II 26a (vv. 1-20) e II 26c (vv. 29-58) non hanno alcun rapporto i quattro distici di II 26b (vv. 21-28), sull’esempio di Richmond pone lacuna dopo v. 21 e dopo v. 28. I codici tramandano II 30 senza soluzione di continuità, e così il componimento viene stampato nella teubneriana; nel testo Valla esso viene smembrato in tre parti, II 30a (vv. 1-12), II 30b (vv. 13-40) e si considerano i due distici che compongono II 30c (vv. 19-22) un frammento di una perduta elegia. Il carattere conclusivo dell’ultimo distico di II 33a (vv. 1-22) esclude un legame con II 33b (vv. 23-40), che per Fedeli è un componimento a sé ma mutilo dell’inizio, e con II 33c (vv. 43-44-41-42), che rispetto all’edizione del 1994 risulta staccato da II 33b perché ritenuto frammento di un’altra elegia.

In uno o più codici due o più elegie sono trascritte senza soluzione di continuità. Sono tramandati come un unico carme gli attuali I 8a (vv. 1-26) e I 8b (vv. 27- 46), che Fedeli, diversamente dall’edizione teubneriana, seguendo Giusto Lipsio considera due componimenti a sé, dal momento che al v. 40 il poeta dichiara di aver convinto Cinzia a rimanere a Roma grazie al blandi carminis obsequium: “sembra ovvio che il blandum carmen sia da identificare proprio con i versi 1-26” (I, p. 221). Al contrario Fedeli continua ad essere convinto dell’unitarietà della II 28, che Hertzberg divideva in tre elegie (vv. 1-34; 35-46; 47-62), Jacob in 4 (vv. 1-34; 35-46; 47-58; 59-62), e a considerare un unico componimento la III 24 e la III 25, che invece risultano separate in π.

In passato il testo properziano ha subito da parte degli editori inaccettabili e talora incomprensibili stravolgimenti; nell’edizione del 1994 Fedeli operava ben poche trasposizioni di interi distici, mentre ora l’intervento sul testo è più massiccio e può verificarsi più volte all’interno di una stessa elegia. È ad esempio il caso della II 16, dove i vv. 13-14, in cui Properzio rivolge a Venere la richiesta di venirgli in soccorso rendendo inabile il rivale che usurpa il suo regno, trovano la loro sede congeniale dopo i vv. 27-28, in cui si allude alla precedente condizione servile dell’uomo. Meno sicuro sarei della trasposizione “necessaria” (I, p. 333) dei vv. 17-18 dopo il v. 12: al lamento sull’amore che si può comprare con i doni e alla constatazione della rovina di Cinzia (vv. 15-16) ben consegue, come credo, il distico 17-18 sul poeta che per soddisfare i capricci della domina va alla ricerca delle perle dell’Oceano indiano e delle stoffe della Fenicia7, oggetti che spiegano in cosa consiste l’indigna merx di v. 16; del resto lo sconcerto per i doni con cui si compra l’amore mi pare che si spieghi meglio dopo l’immagine della donna che soppesa la borsa degli amanti (v. 12) piuttosto che dopo il distico sui doni che il poeta pauper si procura. Ottima è la scelta di trasporre i vv. 29-30 dopo il v. 46, non solo perché trovano piena giustificazione dopo la sezione sui doni (vv. 43-46), ma soprattutto perché di quei doni “propongono un nuovo esito, considerandoli esiziali per le donne che li ricevono” (I, p. 337).

Certamente non è stata facile la constitutio textus, dal momento che un singolo verso nella maggior parte dei casi è tramandato dai codici in maniera diversa. A complicare le cose saranno stati, oltre che le trasposizioni e le lacune, le congetture e gli emendamenti, stratificatisi a dismisura nel corso degli ultimi due secoli. A dimostrazione del gravoso lavoro di collazione affrontato da Fedeli bastino pochi esempi. I 7, 16 quam nolim nostros te violasse deos risulta costituito da quam nolim congetturato da Rothstein e te violasse di ς, mentre in ω si ha eviolasse. I 13, 13 haec cano non rumore malo, non augure doctus si ricostruisce grazie alla congettura haec cano non di Baehrens (N tramanda haec non, A haec ego non) e augure di N2 (augere in ω). In IV 1, 141 et bene cum fixum mento decusseris uncum Fedeli accoglie cum fixum di ς e la congettura decusseris di Broukusius, risolutiva rispetto a discusserit di ω e discusseris di ς.

Dall’apparato di Fedeli risulta evidente che non di rado le lezioni dei recentiores si rivelano poziori rispetto a quelle di ω. In III 16, 16 ipse Amor accensas praecutit ante faces, un verso appartenente alla sezione dedicata al motivo degli innamorati protetti dalle insidie, praecutit è lezione di alcuni recentiores, mentre in ω si legge percutit, che Fedeli aveva accolto nella teubneriana e difeso nel commento del 1985 (p. 504) intendendolo come un possibile caso di simplex pro composito; ora però lo studioso, certamente in considerazione di Ov. met. IV 758-759 … taedas Hymenaeus Amorque / praecutiunt e di Stat. silv. I 2, 88-89 saepe natanti / praeluxi (scil. Amor), si convince della bontà di praecutit e traduce “Amore in persona lo (scil. l’innamorato) precede agitando le fiaccole” (II, p. 65). In III 9, 8 fama nec ex aequo ducitur una iugo Fedeli accoglie fama di ς, mentre nella precedente edizione stampava palma, lezione di altri recentiores.

Attenendosi ai risultati più sicuri della filologia properziana, Fedeli accoglie numerose congetture e registra in apparato anche quelle scartate. In molti casi alla lezione stampata nella teubneriana si preferisce ora una congettura.

Limitato è il ricorso alle cruces, il che costituisce un considerevole progresso rispetto ad altre edizioni critiche properziane e a quella stessa di Fedeli del 1994. Lezioni prima poste tra cruces risultano sostituite con lezioni dei recentiores; nella maggior parte dei casi si sana il testo accogliendo le congetture proposte da altri studiosi.

In III 17, 27-28 et tibi per mediam bene olentia flumina Diam, / unde tuum potant Naxia turba merum: Diam è lezione dei recentiores, mentre in ω si legge Naxon; in luogo di Naxia i recentiores tramandano noxia. Nella teubneriana invece Fedeli nell’esametro accoglieva Naxon e poneva naxia tra cruces; nel commento del 1985, ritenendo immotivata “la ripetizione del nome proprio a distanza talmente ravvicinata” (p. 531) e propendendo per l’ipotesi della corruzione di Naxon per influsso del successivo Naxia, giudicava Diam “la migliore proposta di correzione”, ma viene da chiedersi se non sarebbe meglio scrivere Dian, come in Ov. met. III 690 e VIII 174, e come suggeriscono le altre cinque forme di accusativo greco in –an presenti nelle Elegie, e cioè I 20, 52 Hylan; II 1, 19 Ossan; II 26c, 51 Borean; II 34, 31 Philitan; IV 1, 2 Aenean.

Frutto delle ininterrotte riflessioni di uno studioso capace di non attaccarsi, acriticamente, al testo da lui stesso stabilito in passato ma di giovarsi dei progressi della riflessione filologica su Properzio, il testo della collana Valla risulta sanato nei punti che fino a qualche decennio fa sembravano languire irrimediabilmente. La traduzione, ingentilita rispetto a quella dell’edizione Sansoni (Properzio, Elegie, Firenze 1988) e soprattutto rispetto a quella priva di intenti letterari fornita nei precedenti commenti all’inizio dei gruppi di distici di volta in volta esaminati, rende più accessibile un poeta difficile quale Properzio è.

Il Commento è una lezione inesauribile di metodo filologico. Esso presuppone, ovviamente, i lavori sui singoli libri properziani, dei quali, nonostante i tagli e gli adattamenti imposti dalla nuova sede editoriale, mantiene l’alto valore scientifico. Da un lato costituisce lo strumento più ricco e aggiornato per chi voglia accostarsi a Properzio, dall’altro offre una solida base di partenza agli specialisti, che se nei commenti pubblicati in precedenza sanno di poter approfondire ulteriormente questioni filologiche, linguistiche, stilistiche, metriche, in questo non di rado incontrano novità sul piano esegetico. Il caso più interessante riguarda l’elegia III 20. Properzio dinanzi all’umiliante servitium amoris aveva meditato di conquistare un’altra donna (II 3b) e di darle fama con i suoi versi (II 5), ma mai nel II libro era arrivato al definitivo discidium dalla propria domina. Nel commento del 1985 (pp. 582-588) Fedeli dava per scontato che il poeta si rivolgesse a Cinzia, credeva che il componimento attestasse “la fase di una provvisoria e illusoria riconciliazione” (p. 586), che la sua studiata collocazione accanto ai carmi d’addio mirasse a “raggiungere un effetto di contrasto” e a “far capire subito al lettore il fallimento del tentativo” (ibid.). Ora invece lo studioso, accogliendo la tesi di S.J. Heyworth e J.H.W. Morwood (A Commentary on Propertius, Book 3, Oxford 2011, p. 299), già formulata da M. Rothstein (Die Elegien des Sextus Propertius, II2, Berlin 1920, p. 156), ritiene che la destinataria della III 20 sia una donna diversa da Cinzia. Lo dimostrerebbero da un lato il motivo della prima notte d’amore (v. 13), “che non avrebbe senso nel caso di Cinzia” (I, p. XXXIV), l’espressione in amore novo (v. 16), anticipata nei vv. 13-14 dal triplice poliptoto di primus (nox … prima; primae … nocti; in primo … toro), e la stipula del foedus amoris (vv. 15-16), dall’altro il riferimento a un doctus avus (v. 8) della donna, un uomo a cui non si accenna “nei frequenti elogi di Cinzia in quanto docta puella” (ibid.) e la cui presenza crea un contrasto con II 13, 9-10, dove in virtù della sua bellezza Cinzia è giudicata superiore alle donne che possono vantare illustri antenati; del resto le nobili origini di Cinzia che qui si sarebbe costretti ad ammettere cozzerebbero con il suo status di cortigiana o comunque di donna di bassa estrazione sociale. “Che si tratti da parte di Properzio del tentativo di iniziare un nuovo rapporto d’amore, con una donna che è stata piantata in asso dal suo amante, è tutt’altro che improbabile nella sezione conclusiva di un libro in cui da tempo si avverte chiaramente che tutto prelude alla fine del rapporto d’amore con Cinzia” (II, p. 250).

Nel Commento Fedeli sceglie gli aspetti fondamentali per la comprensione del testo, mette a fuoco i problemi relativi al componimento e al suo legame con quelli precedenti o seguenti, non tace i riferimenti letterari, discute con chiarezza passi difficili senza mai perdersi in lungaggini. Benché minore sia qui lo spazio concesso alla discussione delle lezioni, a cui tuttavia suppliscono le informazioni ricavabili dall’apparato, il lavoro non perde in rigore filologico. L’elevata qualità del saggio introduttivo, l’affidabilità del testo e dell’apparato critico, la traduzione fedele, ma al contempo elegante, e la chiarezza del commento rendono l’edizione Valla fondamentale per la critica testuale delle Elegie. Come tutti i lavori di Fedeli, anche questo è un gioiello che costituirà il sostrato e la miniera per i futuri studi su Properzio e in generale sull’elegia latina.


Qui si presenta una riduzione di E.R. D’Amanti, Il Properzio di Fedeli per la Valla, «Bollettino di studi latini» 53, 2023, pp. 119-127


Emanuele Riccardo D’Amanti è professore associato di letteratura latina all’Università degli studi Niccolò Cusano, ha conseguito il dottorato di ricerca all’Università di Roma La Sapienza, per poi partecipare come assegnista al progetto sulla «Classificazione tematica dei rapporti fra la poesia elegiaca di Ovidio e le Elegie di Massimiano». Si è occupato di poesia lirica greca simposiale, di Cicerone, Orazio, Svetonio e Venanzio Fortunato. Per la Fondazione Valla ha curato l’edizione delle Elegie di Massimiano ed è curatore di un’edizione delle Elegie di Tibullo uscita per Rusconi.


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