L’Anima del mondo del Timeo

Rosita Copioli
― 31 Ottobre 2022

«Uno, due, tre, ma dov’è il quarto» degli invitati? chiede Socrate a Timeo. Devono continuare la discussione del giorno prima sullo Stato perfetto. Sono ad Atene, durante le celebrazioni della sua dea, tra il terzo viaggio di Platone in Sicilia (361/60) e la sua morte (348/7). Tutto è illuminato dalla luce di Atena, la glaucopis. I suoi occhi azzurro-lucenti e di civetta forano il buio, la sua sapienza dissolve le tenebre. I discorsi del prologo suonano a inni. Tutti ne celebrano il nume, che fin dai primordi ha reso Atene il massimo faro della civiltà. Socrate riassume aspetti della Kallipolis descritta nella Repubblica, indica come Atene dovrebbe essere. Crizia, sollecitato da Ermocrate, il generale siracusano vincitore di Atene, esalta le istituzioni e la grandezza militare dell’Atene antichissima; non è il futuro tiranno dei Trenta, ma forse il nonno, depositario della tradizione che evocherà.

Per magnificare ciò che Atene è stata, ma in vista del futuro, Crizia ricorre a un intreccio di miti fondativi, uno più suggestivo dell’altro, riportando come “racconto vero” quello che il nonno omonimo, figlio di Dropide parente di Solone, ha raccolto dal più sapiente dei Sette Saggi. Il poeta legislatore, che avrebbe superato in fama Omero ed Esiodo, se si fosse dedicato alla poesia per intero, date le sue qualità di seguace del vero e del bene, l’aveva ricevuto a sua volta da un vecchissimo sacerdote della città di Sais, sul delta del Nilo: di lì viene Amasi. Poiché Sais è fondata dalla dea Neith, nome egiziano di Atena, le loro due città sono affini. Il sacerdote inizia dal principio: da Foroneo, da Deucalione e Pirra e dal diluvio, purificazione da una delle distruzioni periodiche dovute alla grande quantità di fuoco che si accende sulla Terra in seguito alla deviazione dei corpi celesti: il mito di Fetonte le adombra. Il Nilo li aveva protetti conservando le loro memorie scritte, mentre Atene era rinata da uomini privi di tradizioni e conoscenza: perciò si dice che i Greci sono sempre giovani, e non ce n’è uno vecchio. Dunque Atena, istitutrice di norme secondo natura, amante della guerra come della sapienza, guidò Atene alla più grande impresa. Fu novemila anni prima. Atene dovette affrontare da sola Atlantide, e la sconfisse. L’isola davanti alle Colonne d’Ercole, superpotenza dalla Libia fino all’Egitto e sull’Europa fino alla Tirrenia, si sarebbe espansa su tutta la Grecia. Ma poi di colpo una catastrofe inghiottì l’esercito di Atene e inabissò la superba Atlantide.

Come non cogliere il rimando tra Atlantide e l’invasore persiano, di cui Atene è antitesi soprattutto sul piano della “misura” contro la “dismisura”, in tutti i loro riflessi? È un tema centrale l’insistenza sulle “leggi” della Poiesis normativa che procede dalla sapienza divina di Atena trasmessa al filelleno Amasi, «figlio di Neith», legislatore come Solone, nemico dei babilonesi e dei persiani, di cui parla Erodoto: leggi e Poiesis corrispondono a misura esatta, calcolo astrale. La loro custodia è sacra, sacra la città di Sais, dove – racconterà Plutarco – sul simulacro di Atena, che sarebbe stata creduta Iside, era scritto: «Io sono tutto ciò che è stato, ciò che è, ciò che sarà: e nessun mortale mai alzò il mio velo». Se l’identificazione con Iside principio femminile del cosmo alimenterà in seguito l’idea della complessità di Atena, qui Platone punta sulle sue qualità di Ragione illuminante. La dea coltiva, ordina, tesse, diffida, combatte, indica la trasgressione dell’ordine, la deviazione dal corso astrale di Fetonte, che provoca la catastrofe nello squilibrio del fuoco, la necessità di purificazione dell’acqua, secondo squilibrio per il nuovo equilibrio dei viventi. Ed ecco, infine, la custodia/difesa militante di Atena. L’auto-generata, non balza in armi dalla testa di Zeus?

Socrate lo riconosce: nessun discorso potrebbe essere più consonante alla celebrazione di Atena e della sua città, di quello “maestoso” di Crizia. Come si vedrà, Crizia ha tramato un ordito nascosto, che troverà imprevedibili corrispondenze. Ora dovrà parlare Timeo. Non è un personaggio reale, come non lo è Diotima del Simposio. Nemmeno solo “pitagorico” per la nascita a Locri o la conoscenza di numeri e geometrie, ma vero filosofo, è competente di astronomia, cosmologia, scienze naturali, logica e metafisica. Rappresenta Platone, che dopo l’invocazione agli dèi, prima di esporre l’origine dell’universo e la natura degli uomini lo fa iniziare dal problema dell’essere. Deve chiarire se sia generato o ingenerato: «cos’è ciò che è sempre e non ha generazione, e cosa ciò che ha generazione e non è mai?». Tutto parte di qui, secondo le distinzioni di Parmenide: l’essere che è, identico a se stesso, permanente, il non essere che esiste e non è nulla, ma soggetto al divenire ha origine, o causa, dal principio permanente dell’essere.

Il meraviglioso discorso di Timeo, che interpretiamo nei molteplici sensi simbolici e analogici, non letterali, è l’unico esempio non dialettico tra i Dialoghi di Platone: proprio un singolo trattato. Irradia l’altezza di un pensiero impareggiabile. Come non potrebbe esserlo, il supremo “dono” di Atena? Ricorda Franco Ferrari – introducendo con esaurientissimo esame critico la nuova edizione della Fondazione Valla Mondadori – che tra tutti gli altri dialoghi, il Timeo influì «in misura più ampia e profonda sulla formazione del pensiero filosofico e scientifico occidentale»: una vera e propria summa nella quale convergono «l’ontologia, la teologia, la cosmogonia, la fisica, la cosmologia, l’etica, l’antropologia e la psicologia, arricchite dall’innesto di un articolato insieme di saperi specialistici, che vanno dall’astronomia alla medicina, dalla biologia all’ottica e alla teoria musicale». Questa edizione critica, che reca la nitida traduzione e il ricco commento di Federico M. Petrucci, segue l’antico progetto su Platone, di cui uscirono il Fedro e il Simposio curati da Giovanni Reale, e le Lettere, curate da Margherita Isnardi Parente, tradotte da Maria Grazia Ciani.

Teniamo conto dunque dell’unità di pensiero. Il discorso allusivo di Timeo illustra l’azione del demiurgo, o padre quasi biologico, o artefice tecnico-artigiano (ποιητής), che “produce” l’universo, secondo il bene, traendolo dall’essere: il passaggio dall’eternità al divenire, al fine «di realizzare un’opera che fosse, secondo natura, quanto più bella e buona. […] questo cosmo, che è davvero un vivente dotato di anima e intelletto, ebbe generazione a causa della provvidenza del dio.». Non si potrà dimenticare l’assunto di “bello” e di “buono” coincidenti. Le idee immutabili e fisse si proiettano nelle strutture geometriche del cosmo nella più infinitamente varia composizione di fuoco, acqua, aria, terra, regolata a partire dai triangoli e quadrati sino alla perfezione della sfera: una forma vivente, un “dio felice” dotato di un’anima anteriore, circondato da un cielo circolare. Di lì l’anima moltiplica in cieli, articolando misure e movimenti degli astri, e per essi, «produce un’immagine eterna dell’eternità – che permane nella sua unità –, un’immagine che avanza secondo il numero, e proprio questo è ciò cui noi abbiamo dato il nome di “tempo”». L’artefice divide le anime nello stesso numero degli astri, attribuendone ciascuna a un astro, e quante vivranno senza farsi dominare da violente passioni e disordine potranno tornare alla propria stella.

In questa origine celeste, attraverso l’anima vivente, ogni cosa è connessa, in mutua corrispondenza tra macro e microcosmo. La potenza del fuoco passa attraverso gli occhi, permettendo la vista «affinché, cogliendo le orbite dell’intelletto poste nel cielo, potessimo servircene in funzione dei circuiti del pensiero che è in noi»; l’intelligenza armonica domina i sensi, l’ordine e l’accordo della voce e dell’udito perché l’anima non discordi, secondo il ritmo “musicale” dato appunto dalle Muse. Disordine e discordanza producono morte, anche la debolezza fisica che la precede nei corpi, che devono liberarsi della loro decadenza in modo naturale. Quando poi le anime dopo il trapasso si troveranno sulla pianura della Verità, essendo in numero limitato, dovranno scegliere un’altra vita: lo racconta Er, nella Repubblica. La teoria delle reincarnazioni che segue il principio della perfezione e della debolezza non può piacerci, sebbene altrove si dica che le donne siano alla pari (quasi) nella vita della Repubblica ideale; e almeno dovremmo considerare il concetto di perfezione e debolezza: tre problemi che hanno determinato interpretazioni tradotte in realtà quasi sempre terribili. Perché il concetto di teleologia va riconsiderato, senza distruggerlo, credo.


In ogni caso, non appena il Timeo apparve, nessuno poté “pensare” più senza la sua suprema visione dell’invisible. Attraverso Filone i padri della Chiesa confrontarono il Demiurgo con il Dio del Genesi riflettendo sulla creazione ex nihilo. Attraverso la traduzione (parziale) di Calcidio, con Macrobio e Boezio, il Timeo poté improntare il Medioevo. Ispirò a Dante la risposta di Beatrice sugli influssi delle stelle e il libero arbitrio nel IV canto del Paradiso, sostenendone il linguaggio mitopoietico che dissimula la più profonda filosofia (integumentis verborum tectam) – afferma Guglielmo di Conches, presentato da Peter Dronke quale migliore esempio di approccio platonico per Dante – gli ispirò la spiegazione di san Tommaso sul sistema solare nel XIII, in quanto «Ciò che non more e ciò che può morire/ non è se non splendor di quella idea/ che partorisce, amando, il nostro Sire»; ma di più: Dante non avrebbe concepito l’intera struttura mitopoietica del Paradiso senza lo slancio del Timeo e di Platone, che insegna la corposa visione dell’invisibile. Lo stesso invisibile che dà concretezza di visione a Ildegarda di Bingen, che non sarebbe esistita senza di lui, nella sua grandiosità, proprio come Dante. E prima di loro altri magnifici e ardenti, quali Scoto Eriugena, i mistici di pieno 1100, fino a Riccardo di San Vittore, che adorano Platone intuendo l’unità del Timeo con il Fedro e il Simposio. Platone non pronuncia il nome del demiurgo, o artefice, il tecnico artigiano ποιητής, il dio al quale attribuisce un fine bello e buono. Non si sarebbe mai sognato di pronunciare il nome di eros, il dèmone mediatore, che è suo servo.

I veri scienziati, per esempio Galileo, ebbero sentore che quelle strutture matematiche, che non si potevano dimostrare, avessero fondamento. Oggi lo si può affermare invece con affascinanti riflessioni della Fisica, che Ferrari riporta nella loro apertura futura intorno al Big Bang, Heisenberg, il bosone di Higgs… un capitolo di considerazioni da affrontare a parte.

Mentre platonici e neoplatonici veleggiavano verso la loro rinascita, con la scoperta degli altri dialoghi di Platone che Marsilio Ficino tradusse, l’Anima mundi moltiplicò le fioriture fino ai Romantici, a Schelling, a Yeats, che si fondò tutto su di lei, rivivendola, sul «sentiero del fuoco», e costruendoci A vision. Nessun vero poeta ha fatto a meno del Timeo. Boiardo ne impronta strutture e cieli, e il massimo tragico tra Orlando e Agricane, ciò che ispira Ariosto e Tasso, sullo sfondo di una cavalleria suprema, non solo umana: una gerarchia stellare.

E come dimenticare Leopardi, tradito dall’Armonia mundi, che rivolge l’eterna domanda: «A che tante facelle?/ Che fa l’aria infinita, e quel profondo/ infinito seren?». Ma credo che nessuno abbia osato reinventare il desiderio del ritorno alla propria stella al pari di Goethe, quando ripercorse ogni traccia delle corrispondenze, delle affinità, dell’obbedienza al ritmo celeste fino al personaggio di Natalie nel Wilhelm Meister, ma soprattutto diede a Makarie nei Wanderjahre la realtà fisica di una stella, interpretando letteralmente, ossia con un colpo di genio totale, il senso simbolico che è già la chiave della conoscenza, del quale dobbiamo accontentarci. Molto simile a una figura “santa” quale Ildegarda, Makarie è proprio l’astro di Venere, anzi contiene in sé un intero sistema solare, la struttura astronomica dell’anima cosmica.


Rosita Copioli ha pubblicato libri di poesia, prosa, saggi, drammi, testi storici; ha curato e tradotto opere di Saffo, Yeats, Leopardi, Goethe, Flaubert, Fellini, e ha diretto la rivista di poetica «L’altro versante». Tra i libri di poesia: Splendida lumina solis; Furore delle rose; Elena; Il postino fedele; Le acque della mente; Le figlie di Gailani e mia madre; Elena Nemesi. Tra quelli di prosa e saggi: Tradurre poesia; Narrare; Tradizioni della poesia italiana contemporanea; I giardini dei popoli sotto le onde; Il fuoco dell’Eden; Ildegarda oltre il tempo; La previsione dei sogni; Il nostro sistema solare; Gli occhi di Fellini; La voce di Sergio Zavoli; Simbolo.


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