Virgilio ed Enea, il primo dei Romani


― 12 Gennaio 2021

Matteo Carnieletto, Il Giornale

Virgilio arriva ad Enea alla fine della sua esistenza. Prima, infatti, il poeta latino canta i pascoli con le Bucoliche (un libro), poi i campi con le Georgiche (quattro libri) e infine i condottieri con l’Eneide (12 libri).

In mezzo, una Roma che cambia profondamente e di cui lui diventa il vate, come nota Niklas Holzberg in Virgilio (Il Mulino): «Con uates s’intende il profeta e parimenti un poeta ispirato da uno spirito divino; l’uno e l’altro erano considerati nell’antichità mediatori tra cielo e terra». E del resto, Virgilio per lungo tempo viene visto come un mago tanto che, secondo una tradizione antica, al poeta, noto per la sua castità, sarebbe stato appioppato anche il soprannome di “vergine”. Di più, nota sempre Holzberg: «Nella prima età imperiale, l’etimologia del nome Virgilio è stata ricondotta non solo a uirgo (vergine), ma anche a uirga (verga)». Un poeta dotato di bacchetta magica, dunque, capace non solo di creare versi stupendi, ma anche di compiere terribili magie, come racconta Hans Sachs in un carme del 1551:

Con la sua arte di nigromante
fece sì che dalla vulva della donna
scaturisse una fiamma vampante
immensa e crepitante.

È questa la vendetta del poeta contro una donna che non lo avrebbe filato e che, per di più, gli avrebbe pure teso una trappola:

Sulla piazza del mercato lei dovette stare
uomini e donne accorsero a veder la comare
nonché chi voleva trovare
un lume per il focolare

E così Virgilio è finalmente appagato e può dedicarsi alla sua poesia, che è onnicomprensiva, come scrive Macrobio, e che ci parla del suo tempo. Delle sue ansie e delle sue aspirazioni. Nelle Bucoliche, infatti, il poeta racconta di una pace che non c’è più e che è stata spazzata via dalle guerre civili. Nelle Georgiche, invece, addita «al pubblico colto romano la via per la ricostruzione dell’Italia devastata, per la riconquista di un consapevole rapporto con l’ambiente e per una vita in cosciente armonia col ritmo naturale delle stagioni», scrive Michael Von Albrecht in Virgilio. Un’introduzione (Vita e Pensiero). Nell’Eneide, infine, “cerca di riannodare in una manniera nuova i fili disciolti, mostrando in che modo i Romani avrebbero potuto mostrarsi degni del compito che la storia del mondo aveva loro affidato”. Quest’opera, infatti, rappresenta il mito fondativo di Roma e della sua missione, incarnata da Cesare Augusto, sulla terra.

Tutta la vicenda dell’Eneide, come è noto, ruota attorno a un vir, a un uomo: Enea. È lui che fugge da Troia in fiamme, portando con sé il vecchio padre, Anchise, e i penati, gli dei protettori della famiglia e della patria. È lui l’uomo che dovrà soffrire per terra e per mare e i cui dolori non sono inutili, ma hanno un fine: dum conderet urbem (finché fondò la città). È lui l’uomo, il vir appunto, che dovrà fare da modello a tutti i romani. O forse no. Mario Lentano, in Enea. L’ultimo dei Troiani il primo dei Romani (Salerno editrice), offre un racconto alternativo alle vicende dell’eroe latino. O almeno delle sue ultime ore a Troia. Secondo il professore, che insegna lingua e letteratura latina all’Università di Siena e che si rifà ai versi di Omero, «Enea, in quel giorno maledetto per i Troiani, è bensì sceso sul campo di battaglia, ma si è collocato in ultima fila, alle spalle dell’esercito, in una posizione che ne rendeva di fatto impossibile la partecipazione al comattimento. Una posizione (…) che rappresenta la negazione più radicale dell’etica guerriera omerica, secondo la quale un eroe dimostra il proprio valore scchierandosi tra i prómachoi, cioè tra quelli che combattono in prima fila. (…) Quella posizione rappresenta l’onore e il dovere del valoroso, la giustificazione dei privilegi materiali e immateriali di cui gode e del riconoscimento che pretende dai suoi sottoposti». Ma non solo: Enea potrebbe aver venduto i troiani ai greci, «spinto per di più da meschine ragioni di rivalità personale nei confronti di Priamo e di suo figlio Parie», scrive Lentano. Orazio, nel Carme secolare cerca di rispedire al mittente le accuse e lo stesso farà Virgilio, dedicando tutto il secondo libro dell’Eneide alla rievocazione della caduta di Troia.

Enea è un eroe moderno. Anzi, l’opera di Lentano lo definisce «un anti-eroe al tramonto del mondo antico». Ed è proprio questa la grandezza dell’opera di Virgilio: parlarci ancora oggi per raccontarci la storia di un uomo fragile, diviso e combattuto. Forse addirittura di un traditore. Che però ha saputo fondare un popolo nuovo che ha conquistato il mondo. Soggiogandolo non solo con la violenza, ma anche con il diritto, come scriverà centinaia di anni dopo Rutilio Namaziano su Roma: «Hai riunito popoli diversi in una sola patria, la tua conquista ha giovato a chi viveva senza leggi. Offrendo ai vinti il retaggio della tua civiltà, di tutto il mondo diviso hai fatto un’unica città».


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