Vendetta e rimorso, fratellanza e amicizia: in Elettra sentimenti senza tempo


― 30 Luglio 2025

Mino Morandini, Giornale di Brescia

Un Amleto al femminile, e con più di due millenni di anticipo: anche qui la madre, con l’aiuto di un amante dappoco, ha ucciso il padre, e sul figlio incombe l’acre dovere della vendetta, ma a spingere la mano matricida del figlio maschio, oltre il travaglio del dubbio, e a organizzare concretamente l’azione, empia e al tempo stesso giusta, perché ordinata dagli Dei, è sua sorella, la protagonista epònima dell’«Elettra» di Euripide (ora in una splendida nuova edizione critica di 640 pagine, 60 euro, con testo greco e traduzione italiana a cura dl Guido Avezzù, così come il dottissimo commento, edita da Mondadori negli Scrittori Greci e Latini della Fondazione Lorenzo Valla; tra i destinatari dei ringraziamenti del curatore, il filologo bresciano, collaboratore del nostro giornale, Gherardo Ugolini).

E dal cuore di Elettra, almeno nella versione euripidea (ai medesimi eventi mitici, con qualche variante, si ispirano anche l’«Elettra» di Sofocle e le «Coefore» di Eschilo, e nel ‘900 i drammi di O’Neill, Pérez Galdós, von Hofmannsthal, Giraudoux, Marguerite Yourcenar ed altri, oltre a opere musicali e film), sboccia nell’interminabile faida degli Atridi una novità decisiva. Accanto alla durissima determinazione di vendicare il padre Agaménnone e vendicarsi della madre uxoricida, Clitemnestra, e delle vessazioni che gli ha inflitto con la complicità compiaciuta dell’amante Egisto, Elettra coltiva un desiderio inappagato di tenerezza, che si esprime nell’ansia affettuosa per il fratello esule, Oreste, ritrovato solo a metà tragedia, e che si estende, ricambiata, alle figure secondarie, ma importanti per lo svolgimento della trama: l’anziano servo, che ha messo in salvo Oreste ed ora ne permette il sicuro riconoscimento; il contadino, anziano anche lui, plebeo di nascita, ma nobile d’animo, marito fittizio di Elettra, che ama come una figlia e rispetta come legittima principessa, destinata a ben altre nozze; infine l’unico alleato di Oreste nella temeraria impresa, l’amico e cugino Pilade, futuro sposo di Elettra.

L’«Elettra» di Euripide è quindi una tragedia dell’eros e del pathos più arcaici, ingentilita dalla philìa, l’amore/amicizia, che ricostruisce un ordine fondato sugli affetti gratuiti con la tenerezza dell’amore fraterno, e coinvolge anche la sfera degli dèl, dapprima inclini a perpetuare la catena delle vendette, secondo il responso dato da Apollo a Oreste.

Infatti alla scena efferata del matricidio fa seguito l’apparizione dei Diòscuri, Càstore e Pollùce, figli di Zeus e di Leda, fratellastri di Clitemnestra, semidèi benigni che soccorrono Elettra e Oreste, mentre per il rimorso sta naufragando nella follia, simboleggiata dalle Erinni, le Furie dal muso canino, vendicatrici della madre assassinata. Càstore gli predice che troverà salvezza ad Atene, dove verrà assolto e liberato da questa ossessione grazie al tribunale dell’Areòpago, istituito da Atena, dèa della saggezza, ma formato dagli anziani ex magistrati ateniesi: un’assise laica che impone l’imparzialità della legge dello Stato e spezza una volta per tutte la spirale delle vendette.


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